Newsletter Gynepraio Settembre 2019
SONO SOLO CANZONETTE
I Kasabian, "Goodbye kiss" e un ricordo speciale: maggio 2012, neo assunta, ufficio pieno di sole del mezzo pomeriggio, io che mi maledico per essere in quel luogo di lavoro (dove il massimo che ero riuscita a portare, in termini di innovazione, era proprio l'ascolto della radio: avanguardia pura) e per non essermi fidanzata con quello che credevo essere, all'epoca, l'uomo della mia vita.
Di Margherita Vicario cosa vogliamo dire, se non che è un talento multiforme? Ne parleremo meglio sotto. Invece, questa canzone mi fa pensare a mio papà con il quale, ultimamente, non sono più tanto arrabbiata. Forse perché sono arrabbiata con qualcun altro? Non so, lunedì 30 ricomincio la psicoterapia e chissà, chissà cosa scopriremo.
IL TALENTO E I TALENTI
stufa di etichette e cose simili
Qualche giorno fa leggevo questo post di Florencia di Stefano sui multi-talenti e sul bisogno della società contemporanea di etichettare ogni persona (o ogni donna, dipende da come si vuole vederla) attribuendole un solo ruolo, mentre ci spiazza chi eccelle o si cimenta in molti campi, anche profondamente diversi, facendone una professionalità multiforme. Mi sono vergognata: io sono una di quelle che condannava la dispersione delle energie e dei talenti, che si è sempre concentrata su poche cose cercando di farle ad alti livelli. In questo mi ha spinta la mia famiglia, che non mi ha mai incoraggiata a coltivare altri talenti che non fossero puramente parascolastici (ad esempio le lingue).
Adesso, che a 37 anni sto cercando di capire qual è la cosa che mi rende felice e mi realizza, tra quelle che penso di saper fare o voler fare, faccio fatica a divertirmi nella fase di sperimentazione, come se dovessi prima di tutto "darmi il permesso" e potessi autorizzarmi solo una volta che ho appurato di essere brava, e che lo avevano appurato gli altri.
Questa è una delle sfide di questi prossimi mesi, i primi da freelance: delineare la mia strada senza farmi scoraggiare da chi dice "anche questo?" o peggio ancora "ma ne sei capace?". Mi sono autosabotata o lasciata sabotare troppe volte, capitemi, adesso vorrei assecondarmi un po'.
LE FERIE APPENA CONCLUSE
belle ma battagliere, come me insomma
Le ferie sono andata bene. Mi sono riposata, anche se meno di quanto avrei voluto: ad esempio, mi sono sempre svegliata presto e non sono riuscita a concedermi tanti pisolini pomeridiani. Al contrario, Elia ha vissuto una fase di totale rifiuto del sonno pomeridiano (del quale ha però ancora un disperato bisogno) e ogni giorno farlo dormire è stata una lotta dalla quale sono uscita terribilmente spossata e, diciamolo, super incazzata.
Sì, perché ogni tanto mi piacerebbe che una cosa mi venisse facile, che non ci fosse sempre la necessità di discutere, negoziare, alzare la voce, perdere la pazienza.
Non metto in discussione è il bisogno di crescere, affermarsi e compiere delle scelte. Sono felice che mio figlio abbia dei gusti, apprezzi di più alcune libri, persone, film, canzoni: cerco anche di assecondarlo, quando si tratta di "scelte".
Quello che mi sfianca è disquisire continuamente sulla routine: lavarsi i denti no, fare la cacca no, infilare le scarpe no, chiudere la cerniera no.
Penso che da questa negoziazione continua non benefici nessuno: non io che alle 8 di mattino sono già piena, non lui che mi vede sempre snervata, non la vita domestica che è irta di inceppi, anche se tutto, ripeto tutto, viene progettato per essere facile, giocoso e non stressante.
Queste vacanze sono state ricche di questo ostruzionismo fine a se stesso, e il ritorno a casa+ripresa dell'asilo è stato uguale.
Se conoscete modi per uscire da questa fase (che non siano semplicemente mordersi le dita e aspettare che passi), io sono tutta orecchie.
DEBORA DUSINA
il suo minisaggio sull'algoritmo Instagram
Questo è un post per gli Instagram addicted, ma lo pubblico in ogni caso perché molti, pur non essendo propriamente degli Instagrammer, hanno piacere di comprendere le logiche che stanno dietro il funzionamento di questo social oppure lo utilizzano per lavoro.
Debora Dusina ha scritto un minisaggio in cui spiega, ricorrendo a notizie e non a dicerie, come funziona l'algoritmo di Instagram e approfondisce il concetto di "contenuto di qualità": predica l'utilità di una crescita lenta e organica basata sull'engagement, rispetto a una rapida e inconsistente. Il saggio include anche una checklist per autoanalizzare i propri contenuti e capire come renderli qualitativamente migliori.
É un documento ricco eppur sintetico, che vi consiglio di richiedere direttamente a Debora tramite Instagram, dopo esservi assicurati di seguirla: il suo profilo è interessante, autentico e ricchissimo di riferimenti agli anni '80 e '90. Se amate le Tartallegre, you know what I mean.
I PIANI DELL'AUTUNNO
come penso di impiegare i mesi a venire
Come alcuni di voi sapranno, dal 1 settembre ho smesso di essere una dipendente e sono diventata una lavoratrice free-lance, decisione presa al termine di un percorso di orientamento professionale durato quasi 6 mesi.
Cosa farò esattamente non lo so, e in questo momento, come scrivevo qualche paragrafo sopra, non voglio attaccarmi addosso un'etichetta. Diciamo che in questi primi mesi voglio dedicarmi a due filoni: la scrittura per l'intrattenimento e la scrittura per il business. Li porterò avanti dal tavolo della cucina, in sordina, perché ho già dei PVC (acronimo per "progetti veri concreti") e mi sento così granculo -la fortuna del principiante- che ho quasi paura a parlarne.
Complici gli orari più tolleranti -dove i punti fermi saranno soprattutto i tempi scolastici di Elia- vorrei stare sul web un po' di più, in maniera più generosa e meno frettolosa.
Continuerò a collaborare con i brand che mi piacciono, in veste non tanto di influencer -i miei numeri fanno ridere- ma di ambassador: sicuramente Cortilia, Colvin e Vitamina. Chiusura che non c'entra niente: il mio romanzo è ancora acquistabile a questi link, anche se ormai ha più di un anno.
GLI ULTIMI POST
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SCOPERTE BELLE
essere a proprio agio
Durante le vacanze ho rispettivamente letto e ascoltato "Beyond Beautiful" di Anuschka Rees e il podcast Ordinary Girls che ho trovato su Storytel, ritrovando in entrambe le fonti la stessa verità: c'è un fase della vita in cui ci si veste in modo scomodo perché si è convinte (o ci hanno convinte) che quegli outfit ci stessero bene. Ci si dimentica così il valore della comodità (=fare con agio qualsiasi cosa le circostanze richiedano).
La verità è che quando ci si sente a proprio agio si guadagna in self-confidence. Le persone che ammiro maggiormente sono felici nei propri panni, sono sicure di sé e padrone del proprio corpo.
Ripenso a me che dai 19 anni ho indossato quasi ogni giorno della mia vita tacchi alti e vestiti che, in un modo o in un altro, riuscivano a impedirmi o a limitarmi. Mi sentivo ridicola con gli abiti sportivi perché contrastavano col mio stile di tutti i giorni, avevo sempre mal di piedi e mi sentivo brutta con certi capi femminili (uno per tutti, il bikini) che però dovevo indossare perché era previsto che lo facessi.
Ho notato che da quando faccio in modo di essere comoda ho più energia e resistenza: banalmente, quella parte del mio sistema nervoso che prima soffriva per il mal di piedi da tacchi, adesso è libera, quindi impegnata a farmi ragionare o divertire. O camminare senza sbuffare: davvero, fino a 5 anni fa io non camminavo MAI perché non avevo scarpe comode che mi piacessero!
Penso che la maternità mi abbia aiutato: è un'esperienza fisica e sporchevole, quindi in gran parte incompatibile con tacchi e outfit troppo complessi. Non puoi spingere un passeggino con gli stivali alti né permetterti di fare le scale barcollando con un bambino in braccio.
Se mi avessero detto 5 anni fa che avrei comprato dei sabot, una camicia di lino, dei mommy jeans e un costume intero, avrei riso, e invece non mi sono mai sentita così sicura di me stessa, anzi così me stessa. Non sono mancati commenti sul fatto che mi vesto in modo molto più sobrio, che mi trucco poco e mi pettino ancor meno, ma sono così convinta della mia scelta da non farmene toccare, che tra l'altro non c'ho manco tempo.