LA LETTERINA
Margherita [nome assolutamente inventato ma che casualmente è quello della protagonista del mio primo e finora unico romanzo] 4 anni fa si è separata cordialmente dal padre di suo figlio, cui la univa un matrimonio tiepido e stanco.
Nel 2020 conosce un collega, divorziato con figli già grandi e ta-daaan: nonostante le premesse e le preesistenze, il timing poco propizio (lockdown anyone?), la logistica complessa e le molte responsabilità, il loro amore va avanti, bello, ricco, passionale. Ora vivono insieme, hanno trovato una quadra per la gestione della prole, si amano: eppure secondo Margherita a questo rapporto manca l’imprimatur.
Certo, sua madre le fa gentilmente notare che questa non è una relazione vera™ in quanto priva di crismi (anello, cerimonia, figli) e questo non aiuta. Ma Margherita ammette che le riprove di ufficialità e immutabilità della relazione vera™ per lei, più che simboli, sono collanti: il mutuo, i certificati, il contratto insomma. Queste carenze la rendono più lamentosa ed esigente, e le risulta quindi faticoso digerire le normali divergenze che esistono per il fatto di essere due persone diverse, adulte e indipendenti.
Di primo acchito vorrei rispondere come Woody Allen e Berlusconi cioè
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