Il silenzio è dolo - ageismo interiorizzato
Pensieri post "The Substance" e "La stanza accanto"
La mia ossessione per il decadimento è determinata da due verità incontrovertibili. La prima, è che nella mia famiglia ricorrono le malattie neurodegenerative e temo di dover dire presto addio all’unica cosa sulla quale sento davvero di poter contare: i miei neuroni, la loro plasticità, i collegamenti faticosamente costruiti in 42 anni di iperattività cerebrale.
La seconda è che sono finita a ho scelto di lavorare nei pochi campi in cui, almeno in Italia, essere giovani rappresenta un vantaggio competitivo. Marketing, comunicazione e content creation premiano freschezza, innovazione e velocità: tre caratteristiche che non fanno rima con donna ultraquarantenne. Non sono mai stata un medico né un avvocato, quindi non posso parlare per altre professioni: posso però dire che per restare credibile e fresca in ben 3 fast moving markets dovrei passare una quantità spropositata di tempo a studiare la concorrenza, analizzare i trend, imparare nuove applicazioni col probabile risultato di sentirmi sempre un passo indietro.
Quindi, non sono solo turbata dalla prospettiva di diventare vecchia e avere ereditato i geni delle mie nonne, ma mi sento terrorizzata all’idea di sembrare vecchia. Il punto, però, è che lo sono già: non tanto in rapporto alla popolazione italiana, ma rispetto alla media delle persone con cui lavoro e mi confronto ogni giorno. Posso allenarmi tutti i giorni, mettermi la 50+ anche a gennaio, riempirmi i capelli di cheratina e le orbite di acido ialuronico, ma quando vado agli eventi si vede che ho 42 anni e non 27.
Sembra che mi stia autodisprezzando ma io non penso affatto che avere 42 anni sia una sfortuna: vorrei soltanto
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