TRIGGER WARNING E PROVOCAZIONE
La parola trigger warning è stata ormai abusata e spesso privata del suo significato originario, che mi permetto di chiarire anche qui: un trigger è un elemento che innesca sensazioni o reazioni sgradevoli in alcune persone. Attraverso un trigger warning (d’ora in avanti: TW) si anticipano i temi che, in un certo contenuto, potrebbero turbare chi sa di avere una particolare sensibilità: ad esempio, sangue, disturbi alimentari, violenza sessuale, morte, aborto, molestie, torture. L’utilità, l’avrete capito, è risparmiare chi ritiene di avere già sofferto abbastanza rievocando un dolore che spesso ha radici traumatiche.
In linea di massima, è giusto che sia la persona sofferente a decidere cos’è trigger e cosa non lo è: dopo una serie di riflessioni ho accettato che alcuni tasti per me totalmente indolenti (l’allattamento e la droga, per esempio) possano esserlo per altre donne. Ho anche accettato il fatto che, nonostante io sia sempre un po’ brusca con me stessa e tenda ad alzare continuamente l’asticella della mia sopportazione al grido di faccela Valeria cazzo, questa educazione siberiana non è una regola universale e che altre persone siano più indulgenti e rispettose di sé.
Ricapitolando: all’individuə adultə spetta il compito di prendersi cura dei propri traumi e della salute mentale in generale, alla comunità si demanda quello di non aggravarne il malessere attraverso forme di microviolenza. Il punto però è che tuttə siamo, a modo nostro,
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