COME NASCE UNA SUPERCAZZOLA: IL MINIMALISMO
Il minimalismo mi attrae, da anni. Vorrei muovermi con disinvoltura in questa selva oscura di tentazioni, adv, esortazioni, spot televisivi e ricatti morali che ti invitano a desiderare di più, consumare di più, spendere di più. Ammiro le persone consapevoli dell’anello che occupano all’interno della catena alimentare del consumismo e che scelgono la frugalità. Penso spesso alle sfide che il ventunesimo secolo ci metterà davanti: climatiche innanzitutto, ma anche politiche, migratorie, economiche (serenissima, lo so). Ne usciranno vincenti soprattutto tre tipi di persone: quelle ricche, quelle previdenti, quelle adattabili. Di solito lə minimalisti ricadono nella seconda e terza categorie, e in alcuni fortunati casi anche nella prima.
Nel mio apparato di valori, minimalismo è scegliere di possedere ciò che serve per distanziarsi dal sistema capitalista ed emanciparsi -per quanto possibile!- dai suoi condizionamenti. Significa trovare un punto di pareggio soddisfacente tra morigeratezza e autoappagamento: distinguere tra necessario e superfluo, accantonare risorse economiche per il futuro e ridurre l’impatto sul pianeta. Per alcunə è un obbligo, per altrə un scelta, ma è un gesto virtuoso, replicabile a tutti i livelli e soprattutto politico.
Pare che il minimalismo come ve l’ho appena spiegato io non sia abbastanza vendibile, ed è per questo che coloro che lo divulgano preferiscono darne un’interpretazione più sexy.
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