DUE PAROLE SU FERRAGNI E BALOCCO
Vorrei offrire un punto di vista, che mi sentirei di definire originale, sul caso Ferragni-Balocco, che non riassumo perché ne hanno scritto a sufficienza tutti i mezzi di comunicazione -analogici e digitali- del mondo e mi sembra che fatti e sanzioni parlino da sé.
Io non ho mai nutrito per la famiglia Ferragnez particolari simpatie, anche in fasi della loro carriera meno “torbide” e più graziose (la nascita dell’amore, la dichiarazione al concerto, il matrimonio a Noto, la prima gravidanza…), e la mia stima era ai minimi storici già dai tempi della festa di compleanno al Carrefour. Mi ero abbondantemente espressa sul loro conto nella recensione della prima stagione di The Ferragnez e da allora continuo a non trovare valide ragioni per interessarmi al loro operato.
Ma c’è un elemento che mi irrita profondamente e che ritrovo in tutte le pratiche discorsive (scusa Foucault ma dovevo) attorno alla figura di Chiara Ferragni: sia nella narrazione che l’influencer ha intessuto su se stessa, sia nel linguaggio utilizzato dai media, sia nella terminologia usata dalla fanbase per giustificarne l’operato. Mi riferisco all’uso reiterato e improprio del termine
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